L’avvento di internet, dei social network e la loro “più facile” fruibilità ha portato ad un fiorire di mezzi di informazione che, evolvendosi di pari passo, hanno abbandonato le vecchie forme, mettendosi al passo con i tempi.
In questi ultimi anni abbiamo visto un fiorire di giornali on line, blog, chat, mailing list che, in un modo o nell’altro, hanno e stanno rivoluzionando non solo il modo di fare informazione ma anche di farcela assimilare.
Tralasciando ogni possibile valutazione su quelle che sono o potrebbero essere le competenze di chi pretende di fare informazione, quello che a noi interessa è capire quella che potrebbe essere la disciplina applicabile alle diverse fattispecie con le quali, quotidianamente, ci imbattiamo senza nemmeno rendercene conto.
Una prima – necessaria – distinzione occorre marcarla tra le testate giornalistiche telematiche e le altre forme di comunicazione che non hanno: una testata, una diffusione regolare, un’organizzazione in una struttura con un direttore responsabile che sia giornalista professionista o pubblicista, una redazione ed un editore registrato presso il registro degli operatori della comunicazione, dalla finalizzazione all’attività professionale di informazione diretta al pubblico, per tale intendendosi quella di raccolta e commento di notizie di attualità e di informazioni da parte di soggetti professionalmente qualificati (SS.UU. penali sentenza n. 31022 del 2015, seguita dalla sentenza 18 novembre 2016, n. 23469).
Questo primo “spartiacque” determina una diversa disciplina in ordine alle responsabilità. Per i giornali, anche telematici ,sarà applicabile in maniera estensiva la normativa prevista per quelli tradizionali “cartacei” ed anche la responsabilità di cui all’art. 57 c.p. al direttore del giornale.
Una posizione, questa, che a lungo dibattuta in dottrina e giurisprudenza, sembra aver finalmente trovato un proprio indirizzo e riconoscimento con conseguente filone interpretativo di riferimento anche e soprattutto con la. Cass., Sez. V, sent. 23 ottobre 2018 (dep. 11 gennaio 2019), n. 1275
Ma se quotidiani, sia essi cartacei che on line, godono o possono godere di una tutela (anche in termini di responsabilità per come sopra innanzi detto) giuridica di riferimento, le altre molteplici forme di comunicazione sorte in questi periodi (blog, mailing list, chat ecc), come vengono ad essere disciplinate?
La stessa Suprema Corte ha riconosciuto espressamente che forme di comunicazione telematica quali forum, blog, social network, newsletter sono espressione del diritto costituzionale di manifestare liberamente il proprio pensiero (art. 21 Cost., art. 10 della Convenzione EDU, art. 11 della Carta dei diritti fondamentali UE), di cui costituiscono estrinsecazione le manifestazioni di critica e le denunce civili con qualsiasi mezzo diffuse.
Chiarezza sul punto la pone la Cass., Sez. V, 8 novembre 2018 (dep. 20 marzo 2019), n. 12546 con la quale viene fatta ulteriore chiarezza su un punto che sembra, però, non esser stato chiarito del tutto.
La vicenda che ha condotto alla pronuncia della Cassazione riguardava due distinte condotte:
Ø la pubblicazione su un blog ad opera del gestore dello stesso (c.d. blogger) di una nota avente contenuto diffamatorio;
Ø la pubblicazione, da parte di utenti anonimi, di innumerevoli commenti pesantemente offensivi all’indirizzo della vittima della prima condotta diffamatoria. Contenuti, questi, rimossi solo dopo 3 anni e solo a seguito dell’oscuramento della pagina
Orbene, con la prima condotta sussiste in maniera incontrovertibile una responsabilità ex art. 595 c.p.. Responsabilità – tra l’altro – aggravata ai sensi del terzo comma dell’art. 595 c.p., non esistendo dubbi nemmeno riguardo la riconducibilità dei nuovi mezzi di comunicazione del pensiero via internet alla nozione di “mezzo di pubblicità”, stante la loro capacità di diffusione dell’informazione praticamente illimitata (, Cass., sez. V, 14 novembre 2016, n. 4873).
Diversamente, qualche dubbio in più se lo pone la S.C. in tema di configurabilità di una responsabilità a titolo di diffamazione a carico del blogger, per i commenti pubblicati da terzi sulla pagina virtuale da lui gestita.
Per tutto quanto innanzi spiegato, occorre ribadire che a carico del blogger viene esclusa innanzitutto la configurabilità di una culpa in vigilando, ex art. 57 c.p., stante la non assimilabilità del diario virtuale alla nozione di “stampa”. Esclusione che, anche in assenza di norme specifiche, potrebbe condurre ad una responsabilità nella commissione del reato di diffamazione in quanto autore del commento lesivo, o in quanto concorrente con l’autore materiale.
Per quanto riguarda tale ultima ipotesi, però, la Corte spiega quelle che appaiono le criticità difficilmente superabili osservando che tanto la figura del reato omissivo improprio (40, 595 c.p.), quanto quella del concorso omissivo nel reato commissivo altrui (110, 40, 595 c.p.) presupporrebbero l’esistenza di una posizione di garanzia in capo al soggetto agente, sul quale graverebbe un obbligo giuridico di impedire l’evento, o la commissione del reato da parte di altri.
Tale posizione di garanzia, però, non risulta essere configurabile nel caso di specie, non essendo disponibile, nel caso del blogger, nemmeno una norma quale quella prevista per i provider dall’art. 14 della Direttiva CEE .
A tutto ciò va aggiunto che la diffamazione risulta essere un reato istantaneo, che si consuma nel momento in cui il contenuto lesivo è immesso sul web.
L’unico obbligo a carico del blogger sarebbe quello di una sua rimozione ex post quando, cioè, il reato sia già stato consumato con buona pace del requisito dell’omissione dell’ azione doverosa omessa che avrebbe impedito la commissione del reato da parte di altri prevista, per l’appunto, nel concorso omissivo.
Per superare tale difficoltà, la Corte sembra proporre di scindere un’unica condotta in due condotte distinte:
1. pubblicazione del post diffamatorio da parte di utenti terzi rispetto al blogger;
2. ripubblicazione (o nell’omessa rimozione, la sentenza non lo specifica) del medesimo post ad opera di un soggetto diverso dal suo autore, il blogger.
E’ emerso, però, come anche tale soluzione non risulti essere di facile interpretazione variando, il reato di diffamazione, tra la forma commissiva ed omissiva a seconda dell’assimilazione alla ripubblicazione o all’omessa rimozione che si vuole dare al contenuto.
In ogni caso, l’unico dato certo è che si è raggiunto un risultato nella distinzione posta tra le diverse attività telematiche. Sulle responsabilità conseguenti a condotte lesive, risulta ancora essere dibattuto l’indirizzo da seguire sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.
Incertezza – questa – che in un’epoca in cui tutto è telematico, risulta quanto mai necessario superare anche per porre un freno a quelle molteplici esternazioni che, in forza di una “libertà di espressione”, risultano essere non poco lesive di immagine e dignità altrui.